Celebre opera del Palladio, con affreschi del Veronese e stucchi del Vittoria, esaltata dalla sublime essenzialità del suo giardino: prospettive lunghe attraverso i coltivi, il raso dei prati, gli spazi appena accennati ma che s’impongono potentemente.
Realizzata fra il 1554 e il 1559. Il progetto è incluso nei Quattro Libri dell’Architettura editi da Palladio nel 1570. La proprietà passò di mano in mano finché la famiglia Giacomelli, alla metà dell’800, la restaurò incrementando la produzione vinicola, attività mantenuta ancor oggi viva dagli ultimi proprietari, i Volpi di Misurata in omaggio alla tradizione già evidente ai tempi di Palladio che aveva previsto sotto le attuali barchesse i “luoghi da fare i vini”. Il contesto paesaggistico, con i colli asolani retrostanti e il terreno in leggero declivio, costituisce un fattore determinante per la struttura e l’organizzazione del complesso. Il giardino è concepito in funzione delle visuali che si godono dall’edificio principale: sull’asse dell’aggettante facciata si protende nel paesaggio di viti il lungo viale di tigli che si attesta nell’emiciclo con al centro la “Fontana di Nettuno” realizzata da Alessandro Vittoria; superato il cancello d’ingresso prosegue dividendo le aree interne al recinto, caratterizzate da ampie distese prative delimitate da fronti alberate. Da uno slargo semicircolare decorato da statue si sale con una scalinata al terrazzamento superiore: ai lati lo spazio a giardino, d’impianto formale, è organizzato in due parterres speculari tenuti a prato, con le aree prossime ai lati del corpo centrale riquadrate da siepi di bosso. Sul fronte posteriore è il giardino segreto, chiuso tra le ali avanzanti delle “barchesse” e posto a un livello più alto, risistemato da Tomaso Buzzi negli anni Trenta, con al centro una piccola peschiera e il magnifico ninfeo con grotta. Nel Novecento il giardino di là del ninfeo, sulla collina retrostante, è stato ridisegnato da Maria Teresa Parpagliolo Shephard.