Con il nome di “fiore” – ziz o tsits – sembra che i Fenici chiamassero Palermo; e viene anche da pensare a quanti, storici e scrittori, hanno voluto interpretare l’antica “Panormo” come la città “tutt’orto”. Dal giardino mediterraneo della cultura araba, con l’insorgente mito siculo-normanno della Conca d’Oro, si va fissando una dimensione favolosa che, la parte per il tutto, finirà con l’identificare Palermo con l’intera regione.

La Sicilia incarnerà sempre più nel corso del tempo il mito di una perenne primavera, un’ “Isola del Sole” il cui clima contribuisce in maniera decisiva alla configurazione di nuove caratterizzazioni formali e paesaggistiche. L’isola è la goethiana “Isola dei Feaci” che lo straordinario ciclo pittorico del salone della Villa Igiea esalta quale giardino delle Esperidi.

Scriveva ai primi dell’Ottocento il naturalista Domenico Scinà che “i melaranci in autunno si veggono ad un’ora così ricchi di fiori e carichi di frutta, verdi alcuni e altri dorati, che i nostri giardini di agrumi ricordano e le finzioni degli Orti Esperidi, e dell’isola di Calipso”.

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