Poche tra le regioni italiane hanno mantenuto così forte il legame fra il territorio, nella sua connotazione geomorfologica ed ecologica, la storia delle trasformazioni agrarie e la cultura del cibo, sopravvissuta fino ai giorni nostri e divenuta quasi un’icona della dieta mediterranea.
In questo estremo lembo d’Italia il paesaggio dei boschi, delle macchie, dei pascoli e della flora spontanea è oggi relegato ai margini dei territori abitati ed agricoli dove le tre colture significative della transizione alla colonizzazione delle campagne in chiave produttiva (l’olivo, la vite, il grano) sono state affiancate da innumerevoli varietà di ortaggi e da alberi da frutto coltivati da anziani agricoltori o da giovani imprenditori.

Nessun giardino è privo di un albero di fico, di un gelso, di un melo cotogno; spesso sono proprio queste piante che si identificano con il concetto stesso di “giardino” salentino, almeno fino a quando, verso la metà dell’Ottocento, il Mediterraneo viene travolto dalla moda degli “esotismi” botanici; è allora che si iniziano ad organizzare parchi e giardini che ben presto sostituiscono quella che fino ad allora era stata un’esperienza botanica multisensoriale con la sola percezione estetica.

Questa diversità di forme e di colori è oggi celebrata in alcuni giardini botanici – calati spesso in contesti di grande valore paesaggistico – e in alcune masserie, nei secoli passati centro della organizzazione fondiaria e dalla metà Settecento ampliate e riadattate a nuove funzioni, assumendo in taluni casi la dignità di ville.

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