L’oriente in giardino

Il giardino paesaggistico, oltre che un succedersi di quadri, è una vetrina di curiosità, un’enciclopedia en plein air.

Il giardino paesaggistico, oltre che un succedersi di quadri, è una vetrina di curiosità, un’enciclopedia en plein air. Il termine “fabrique” designa “tutti gli edifici di effetto e tutte le costruzioni che l’opera dell’uomo aggiunge alla natura per l’abbellimento dei giardini” (Morel 1776). Nella sua connotazione panoramica il giardino è il luogo della pacifica coesistenza del classicismo e del gotico, dell’oriente e dell’occidente. Passeggiare in un giardino è come compiere idealmente una sorta di viaggio.

Sono soprattutto le architetture esotiche a prevalere sulla scena. Non a caso il Principe de Ligne considera le “fabriques” una vera e propria macchina da guerra anticlassica.

Agli occhi degli occidentali l’Oriente è stato da sempre pervaso da un’aura immaginifica catturando la fantasia di scrittori, esploratori, missionari, alimentando la fantasia per l’arte di quei paesi lontani e il collezionismo. Alla nascita del giardino paesaggistico contribuiscono non solo la filosofia, la poesia e la pittura, ma anche la nuova moda delle chinoiseries, determinata da motivazioni estetiche, ma con connotazioni anche filosofiche e politiche.

La moda per l’esotico, imponendosi nello scenario del giardino, darà vita dalla fine del XVIII e nel corso del XIX secolo alla proliferazione di architetture insolite che attingono a un repertorio tipologico bizzarro ed eccentrico.

Una casina cinese svetta nel parco della Real Favorita a Palermo, dimora della regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando IV di Borbone. A villa Melzi d’Eril un chiosco-belvedere con le sue forme moresche si affaccia sul lago di Como; una pagoda e un ponticello cinese si specchiano sul laghetto della villa Durazzo Pallavicini a Pegli.