Miti e mostri
nei giardini dell’Alto Lazio
In un paesaggio memore dell’antichità etrusca, alcuni celebri giardini del Cinquecento danno voce, nel fitto della vegetazione, a miti e leggende
La Tuscia viterbese era celebrata come la Sacra Toscana, dove fioriva il mito leggendario di Giano-Noè, che rivendicava il prestigio della cultura etrusca (con ascendenze perfino egizie) contro l’egemonia della cultura classica romana. In Villa Lante a Bagnaia, per esempio, le due culture si bilanciano mentre a Soriano nel Cimino vengono affiancate dalla sacralizzazione biblica. La Tuscia costituisce un paesaggio straordinario, modellato dagli Etruschi sia con l’arte scultoria sia con l’ingegneria strutturale e importanti segni architettonici: tutti elementi che costituiscono una cornice essenziale per comprendere taluni giardini cinquecenteschi. Committenti come Vicino Orsini, Alessandro Farnese, Cristoforo Madruzzo e Giovanni Francesco Gambara innescano una gara leggendaria di costruzioni e di invenzioni fantastiche, spesso in segno di sfida nei confronti della corte romana (vedi il Palazzo di Caprarola, trasformato dal Farnese in reggia extraurbana dopo gli insuccessi nella scalata pontificia). Il giardino di Vicino Orsini a Bomarzo, il celebre Sacro Bosco o Parco dei Mostri, viene descritto già nel 1564 da Annibal Caro come regno delle meraviglie e di «cose stravaganti e soprannaturali».
L’umanista suggeriva di decorare il palazzo di Bomarzo con la caduta dei Giganti fulminati da Giove e abbattuti sotto montagne di rocce. Questa atmosfera mitica sembra rivivere nel Bosco nelle figure degli dei e dei giganti del mito e della favola. Al mito di Tifone, sepolto sotto l’Etna, può ricondurre il simulato movimento tellurico che fa sprofondare il mausoleo etrusco o sommuovere la casa pendente e il bacino della fontana di Pegaso. O, forse, l’epicureo Orsini poteva credere di stimolare con le sue arti la produzione spontanea di esseri viventi da parte della Madre Terra.
Il Bosco di Bomarzo è un anti-mondo che affonda le radici nell’aldilà. Aldilà della storia classica, con le riprese del mondo misterioso degli etruschi. Aldilà dello spazio occidentale, con l’aura di mondi esotici dell’Oriente e forse delle Americhe. Aldilà dell’umano, con l’esaltazione della pazzia di Orlando (lo stesso Vicino parla della «follia del mio boschetto»). Aldilà della vita, con la proposta di una discesa all’Ade, evocata dalla porta dell’Inferno, da Cerbero, da Persefone e da altri simboli di morte. Aldilà della natura e della materia, con lo scavo e la trasfigurazione dei massi erratici e delle balze rocciose. Non manca forse la scanzonata parodia dei Sacri Monti: in tal senso, le stazioni pagane del boschetto sarebbero il contraltare del Sacro Monte dell’Isola Bisentina, le cui sette cappelle avevano ricevuto le stesse indulgenze della visita alle sette chiese di Roma.
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