“Voi che pel mondo gite errando vaghi / di veder meraviglie alte et stupende / venite qua, dove son facce horrende, / elefanti, leoni, orchi et draghi” recita una delle iscrizioni che si incontrano in questo luogo dove enormi massi erratici danno vita a figure misteriose, mostruose o arcane, che popolano un mondo surreale, segnando un percorso enigmatico permeato di allusioni e metafore.

Nell’arroccata città di Bomarzo Vicino Orsini completò il palazzo avito con suggestive decorazioni ed emblematiche iscrizioni; successivamente, a metà Cinquecento, si dedicò al “boschetto” nel fondovalle creando uno stupefacente parco di sculture tra eccezionali scenari naturali e resti della presenza etrusca. I grandi massi tipici del territorio, sapientemente “lavorati” da artefici ancora in parte sconosciuti, hanno assunto l’aspetto di draghi alati, di tartarughe giganti, di sirene bicaudate, di pesci dall’enorme bocca, di colossali divinità, di sfingi, di un Pegaso, di un Cerbero, di un Mascherone infernale e di Orsi che reggono l’emblema di famiglia. Non mancano scene complesse, come l’elefante che ha sul dorso una torre da combattimento e un guerriero, mentre con la proboscide porta un altro guerriero esanime, forse allusione al figlio di Vicino morto nella battaglia di Lepanto; o come il gruppo di Orlando impazzito che solleva un pastorello squartandolo. Sentieri sinuosi disvelano sempre nuovi scenari, gli anfratti si alternano a spazi teatrali, un armonioso tempio fa da contrappunto alla follia della casa inclinata: un labirinto concettuale, tra metafore e simbologie, frutto degli scambi di idee tra Vicino e illustri umanisti quali Annibal Caro, Claudio Tolomei e il cardinale Madruzzo. Dopo la morte di Vicino nel 1585 e vari passaggi di proprietà, il luogo è rimasto a lungo abbandonato e invaso dai rovi fino alla sua riscoperta, a metà del secolo scorso. Da allora affascina e intriga chi vuole decifrarne i significati o godere di un luogo magico.

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