I teatri di verzura

Una ‘trascrizione’ vegetale dell’architettura del teatro moderno

Se il giardino rinascimentale e barocco media alcuni elementi da tipologie teatrali dell’antichità, una particolare forma teatrale che si manifesta all’interno del giardino soprattutto in età barocca è il teatro di verzura. Metafora scenica, virtuosismo topiario, esso si configura che una vera e propria trascrizione vegetale dell’architettura del teatro moderno.

Nei dizionari e nei trattati di architettura il termine ricorre con molto ritardo e appartiene alla manualistica ottocentesca.

Un’analisi della distribuzione dei teatri di verzura in Italia porta alla individuazione di alcune aree – il Senese e la Lucchesia – nelle quali il fenomeno è maggiormente diffuso; una concentrazione che coincide con un’intensa produzione teatrale nell’ambito delle accademie. Il più antico è quello di Marlia, un impianto ad aula unica ellittica circoscritto da un corridoio verde.

Nel teatro di verzura si invertono i termini di spazio e di azione della dialettica teatrale. Lo spazio è reso in maniera effimera, creato con una sostanza vivente che si trasforma nel tempo, mentre l’azione teatrale è perpetuata nelle mitiche figure della statuaria disposte ai lati della scena, nelle nicchie poste a fondale (a Marlia come a Collodi) o nelle edicole-propilei (villa Bianchi Bandinelli a Geggiano).

Lo spettacolo non è un evento strettamente necessario. Il teatro si configura infatti in primo luogo come un’esercitazione di ars topiaria. Sono soprattutto le quinte l’elemento che lo pone in stretta relazione con l’illusionismo teatrale che tuttavia, proprio per il dinamismo immanente alla sostanza della materia vivente, non rispondono ai movimenti reali dell’artificio scenico.

Del tutto particolare è l’esedra teatrale nel giardino di Valva, teatro della Virtù e dell’Onore della famiglia dei Valva che si collega concettualmente ai teatri progettati da William Kent per i giardini di Chiswick, al Tempio delle Virtù Britanniche di Stowe e alle sue parodie. Un significativo precedente ci è fornito alla fine del XV secolo da Francesco Colonna con il giardino di Venere al centro dell’isola di Citera, descritto nell’Hypnerotomachia Poliphili. L’anfiteatro di Valva rinvia anche alla Gerusalemme Celeste dantesca in forma di anfiteatro e di candida rosa.

Singolare è la situazione che si determina nel giardino Garzoni di Collodi, dove il piccolo teatro di verzura ai margini è una sorta di sineddoche, sintesi della spazialità del giardino nella sua totalità. Il giardino presenta nella parte inferiore un impianto mistilineo che può essere collegato all’evoluzione di quelle sale teatrali che proprio in quei decenni conducevano agli esperimenti dei Bibiena. Fra la zona inferiore e la parte collinare il rapporto è quello esistente fra platea e palcoscenico, con la successione del podio, della ribalta, dell’arcoscenico e della scena. La presenza dei due satiri che fungono da montanti di un illusorio arcoscenico con al centro il teatro d’acqua su cui troneggia la Fama conferma la natura della scena come satirica (o satiresca) alla maniera vitruviana.