La tenuta Ottolenghi-Wedekind di Monterosso, opera tra le più raffinate del paesaggista Pietro Porcinai, domina il paesaggio vitivinicolo delle colline acquesi quale emblema del mecenatismo dei due illuminati committenti che ne fecero “un’acropoli delle Arti” del Novecento.

A partire dal 1923, sulla collina acquese di Monterosso, il conte Arturo Ottolenghi e la scultrice tedesca Herta Wedekind zu Horst diedero vita a un luogo d’arte senza pari, crogiolo di architetti, scultori, pittori, arredatori, paesaggisti e giardinieri d’eccellenza. Gli intenti dei due mecenati, bruscamente interrotti dalla guerra e dalla loro scomparsa nei primi anni Cinquanta, sono ereditati e promossi dal figlio Astolfo, che incarica Giuseppe Vaccaro e Pietro Porcinai di completare l’opera avviata dai genitori.
Il paesaggista fiorentino elabora e realizza tra il 1955 e il 1962 un progetto del giardino e dell’intera tenuta come connettivo tra le architetture frammentate nella proprietà. Il percorso ascensionale concepito da Porcinai si dipana dalla sottostante strada provinciale, nei pressi dell’antico cimitero di Acqui Terme, collegando diversi episodi, annunciati da una grande fonte e dal gruppo scultoreo di Arturo Martini raffigurante Adamo ed Eva, evocazione dell’originaria dimensione edenica del Paradiso Terrestre. Tra i vigneti si erge il Mausoleo, opera avviata nel 1929 da Marcello Piacentini. In posizione sommitale si colloca il complesso della villa con l’architettura razionalista degli studi d’artista, scenografico fondale degli specchi d’acqua da cui emerge la statua del Tobiolo. Sul versante meridionale si apre il giardino formale, in continuità con il patio progettato da Giuseppe Vaccaro, la cui scacchiera in ciottoli bianchi e neri si traduce in un disegno reticolare di pietra e prato, alternati ad aiuole di rose e bosso. La presenza di pini marittimi e di una infilata di vasi di agrumi guida la prospettiva verso lo sconfinato paesaggio collinare.

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