Un’oasi a pochi passi da Piazza San Marco: voluti dal governo napoleonico e poi molto amati dall’Imperatrice Sissi, i giardini sono tornati da poco all’antico splendore. Una sapiente combinazione di piante da foglie cresce all’ombra leggera di un bosco di sofore.

Nel piano di riassetto dell’area Marciana, voluto da Napoleone e dal suo vicerè Eugenio di Beauharnais, le Procuratie Nuove divennero residenza reale e l’architetto regio Giovanni Antonio Antolini (1753-1841) predispose i progetti, in parte poi modificati, ideando anche un giardino affacciato sul bacino di San Marco. Benché separati da un canale dalle Procuratie Nuove, i giardini, attraverso un ponte levatoio, ne erano un prolungamento con una successione di elementi ispirati alla tradizione del “giardino all’italiana”.
Dopo il ritorno degli austriaci l’architetto Lorenzo Santi (1783-1839) diede forma compiuta al giardino delineando un viale alberato affacciato sul Bacino, parterre geometrici “all’italiana” e due boschetti “all’inglese”; tra il 1815 e il 1817 realizzò inoltre una serra sul ponte della Zecca e, a conclusione prospettica del nuovo viale, un elegante padiglione neoclassico, il Cafehaus. Quando nel 1857 l’imperatore Francesco Giuseppe concesse a uso pubblico il viale fronte Bacino, nel giardino fu introdotto un lungo pergolato in ferro e ghisa per offrire una passeggiata ombreggiata.
Dopo anni di abbandono i Giardini Reali sono stati restaurati per iniziativa di “Venice Gardens Foundation”, presieduta da Adele Re Rebaudengo, che ha affidato all’architetto Paolo Pejrone l’intervento botanico. Riaperti nel dicembre 2019, i giardini, gestiti dalla Fondazione, hanno riacquistato pregio formale e complessità botanica. Agli arbusti sempreverdi preesistenti sono state affiancate piante esotiche, in omaggio alla tradizione della Serenissima e tenendo conto del particolare ambiente salmastro. Boschetti di sofore ombreggiano idrangee e ligularie, mentre più di cinquemila agapanti (e, in primavera, narcisi e tulipani) fioriscono nei parterres. Grandi vasi in terracotta ospitano melograni, fichi, nespoli, aranci amari e viburni lucidi; clerodendri e osmanti profumano dai bordi e bambù di differenti specie avvolgono la grande serra. Nella recuperata armonia sono tornati a nidificare gli uccelli.

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