In cima a un poggio affacciato sulla valle dell’Arbia, nel cuore del Chianti- all’orizzonte i monti di Cetona, il Monte Amiata e quelli di Volterra e tutt’intorno vigneti a perdita d’occhio-, il Castello di Brolio è testimone di una storia quasi millenaria. Il suo suggestivo parco fu creato nell’Ottocento acclimatando specie botaniche esotiche ed è ancora oggi il principale riferimento per i rimboschimenti nei territori circostanti.
Nell’XI secolo il castello, con i suoi fitti boschi di querce, fu donato alla Badia di Firenze, che nel 1141 lo cedette ai Ricasoli attraverso uno scambio di terre. Con la sconfitta di Federico Barbarossa, alleato di Siena, il Brolio entrò a far parte dei domini fiorentini e la sua posizione sul confine lo rese per secoli una roccaforte strategica nella contesa tra le due Repubbliche, di parte guelfa Firenze e ghibellina Siena. Innumerevoli assedi, saccheggi e ricostruzioni ne scandirono la storia: memorabile l’assalto dei senesi nel 1478, sostenuti dalle truppe papali e aragonesi, a seguito del quale i Medici fecero riedificare il castello su progetto di Giuliano da Sangallo, che introdusse le innovative mura bastionate. Mura che furono l’unica parte a sopravvivere all’attacco delle truppe
imperiali di Carlo V nel secolo successivo, finché la vittoria definitiva di Firenze nel 1555 privò il Brolio della sua funzione militare e cessarono le distruzioni (eccetto le ferite della Seconda Guerra Mondiale, ancora visibili sugli alberi del bosco e sulla Sterculia platanifolia della corte). Al posto dei fossati, ormai interrati, furono creati i giardini all’italiana, che ancora oggi mostrano l’essenziale disegno in bosso con conche di agrumi (un filare di rose del Bengala li separa dalla campagna), e dai vitigni implementati tutt’intorno s’ottennero vini richiesti perfino in Inghilterra (qui nascerà il Chianti Classico). Nell’Ottocento Bettino Ricasoli, celebre figura del Risorgimento e del Regno d’Italia, chiamò l’architetto Marchetti a ridisegnare il castello in stile neogotico e, insieme al fratello Vincenzo, con il quale condivideva la passione per la botanica, piantò il Bosco Inglese nel ripido pendio a settentrione. Furono sperimentate specie arboree rare e provenienti da tutto il mondo, soprattutto conifere e molte coltivate da seme. Cedri dell’Himalaya e del Libano, sequoie, Cupressus lusitanica, abeti e pini in varie specie (come Abies pinsapo, Pinus sabiniana o P. nigra subsp. laricio),
Pseudotsuga menziesii, tigli o ginkgo biloba, che oggi raggiungono dimensioni imponenti, vennero messi a dimora seguendo un disegno informale, scandito da sentieri e piccoli terrazzamenti. Un canale d’acqua in pietra, cd. acquidoccio, attraversa il bosco costeggiato da lecci. Ulteriori specie furono aggiunte da Elisabetta e Giovanni Ricasoli, figlia e nipote di Bettino, ma nel tempo la vegetazione spontanea e i danni delle guerre confusero l’impianto. Nel 1999 il parco è stato restaurato e i tronchi di alcuni esemplari non sopravvissuti (come un Juniperus virginiana) sono stati mantenuti a testimoniare il catalogo originale.