Luogo simbolo di Napoli, che non solo testimonia l’intreccio di epoche e arti, ma ben ne rappresenta la grandiosità, l’esuberanza e pure le contraddizioni. Il chiostro di Santa Chiara è il capofila di un’architettura monastica cittadina ricca di presenze botaniche e atmosfere giardiniere e si distingue per le sue scenografiche maioliche che mettono in dialogo la natura coltivata con quella dipinta.

E’ il maggiore tra i cinque chiostri che si aprono dietro la Basilica di Santa Chiara (chiamata in origine del Santo Corpo di Cristo), cinque perché in questo complesso edificato tra il 1310 e il 1330 dai sovrani di Napoli Roberto d’Angiò e Sancha di Maiorca convivevano due conventi, uno per le Clarisse e l’altro per i Frati Minori. Una circostanza straordinaria che richiese l’autorizzazione di Papa Clemente V. Si trattava di una vera “cittadella” francescana, progettata dall’architetto Gagliardo Primario e che divenne il fulcro religioso della città e lo scenario solenne del potere angioino. Fin dalla fondazione il voto di povertà che era parte della regola di Santa Chiara restò inapplicato: la Regina dotò le Clarisse di enormi rendite, le badesse provenivano dalle famiglie più nobili e i rigori della clausura si stemperarono a favore di abitudini secolari, tanto che durante la Controriforma la difesa dei privilegi contrappose duramente le monache all’autorità ecclesiastica. Nella prima metà del Settecento le forme austere del gotico-provenzale e le sobrietà dell’orto monastico furono ritenute inadeguate e su impulso della Regina Maria Amalia e della badessa Ippolita di Carmignano il chiostro delle Clarisse venne restaurato dall’architetto napoletano Domenico Antonio Vaccaro. All’interno del perimetro medioevale sorse un giardino di delizie rialzato rispetto all’ambulacro e reso monumentale dai viali che lo quadripartiscono, dalle fontane trecentesche traslate dalla Basilica e dalle aiuole cinte in sinuose curve in pietra di piperno. Le pergole divennero protagoniste, con i pilastri ottagonali e le sedute rivestiti di maioliche: un trionfo barocco che conferì unità all’insieme, richiamando la vegetazione circostante attraverso i colori e i soggetti raffigurati. I sessantaquattro pilastri sostenevano pergole di viti sui viali principali e s’incontravano al centro in una cupola lignea; l’attuale assenza di vegetazione sfalsa l’originario gioco di luci e ombre. Ulteriori camminamenti suddivisero i quadranti in aiuole di bosso con agrumi e cipressi (oggi piantate anche con cespi di Canna indica), mentre pergole secondarie soltanto intonacate circoscrissero roseti e piccoli riparti a orto e erbe officinali. La struttura ospitò le Clarisse fino agli anni Venti del Novecento, quando divenne pertinenza dei frati.

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