In un paesaggio arcadico di colline, campi, boschi di sughere, grotte in tufo e mandrie al pascolo Torrecchia Vecchia si compone degli stessi sublimi elementi del vicino giardino di Ninfa: rovine medioevali, acqua e botanica ricercata. Negli ultimi vent’anni due dei più noti landscapers d’oltremanica hanno ricreato un perfetto equilibrio tra atmosfere selvatiche e giardiniere, introducendo connubi vegetali inediti e specificatamente pensati per interpretare in chiave contemporanea la campagna del centro Italia.
La storia del luogo è antichissima e tormentata: coltivato fin dal VI secolo a.C. dai Volsci e poi dai Romani, fu teatro degli scontri tra Papato e Impero durante la lotta per le investiture; distrutto, ripopolato e fortificato conobbe a fine Quattrocento il passaggio delle truppe pontificie guidate dal Malatesta contro i napoletani e fu poi saccheggiato nell’ambito della prima Guerra d’Italia. I Conti lo possedettero per oltre quattro secoli, fino agli anni Venti del Seicento, quando passò ai Borghese, perse progressivamente la funzione difensiva e tornò ad essere una tenuta agricola. Rilevata dalla famiglia Sbardella a inizio Novecento, fu acquistata da Carlo e Violante Caracciolo di
Castagneto nel 1991. L’architetto Gae Aulenti fu chiamato a trasformare l’antico granaio in abitazione e il curatore di Ninfa Lauro Marchetti ad ambientare un giardino di carattere naturalistico tra le rovine del castello e dei suoi annessi, ripulite da edere e rovi. L’ombra fitta degli alberi fu preservata e incrementata e venne captata una sorgente per alimentare un ruscello con cascatelle fino a un grande stagno sottostante. Nel 1995 subentrò il paesaggista Dan Pearson, che sovrappose alla struttura esistente un’intensa trama botanica d’ispirazione inglese e con preferenza per il colore bianco, sperimentando abbinamenti innovativi sia per specie sia per sincronia di fioriture dovuta al clima mediterraneo. Tre anni dopo la curatela del giardino fu affidata all’allievo di Pearson, Stuart Barfoot, che ne portò avanti l’evoluzione e introdusse con cautela annuali da fiore colorato e piante dei boschi circostanti, soprattutto narcisi o ciclamini. Intorno alla casa e al borgo prevalgono scenari più giardinieri, come la corte con melograni e bossi a sfera, le pergole affacciate sulle colline, le terrazze con conche di agrumi o le scale sopraffatte dall’erigeron; in una “stanza” ricavata tra i ruderi della chiesa
una vasca d’acqua con fiori di loto e ninfee è circondata da limoni nani in vaso e da un bordo di papaveri, speronelle, nigelle, salvie e nicotiane. Man mano che le radure a prato degradano verso valle le ambientazioni si fanno più spontanee, con rose rampicanti e glicini che sormontano le rovine, grandi arbusti che ne riprendono le fioriture chiare diffondendole come un eco per il giardino e sottoboschi di perenni come felci, aquilegie, digitali o anemoni del Giappone. Boschetti di bambù e gunnere accompagnano il ruscello fino allo stagno, dove cresce una gigantesca Davidia involucrata, mentre a monte della collina prati fioriti con specie annuali e perenni sono diventate eteree ma fondamentali presenze del giardino.
Questo giardino è stato oggetto di un intervento di restauro e valorizzazione grazie ai fondi del PNRR