Un luogo e una dinastia- quella dei Savoia-Carignano- da sempre all’avanguardia nell’arte dei giardini: il parco del Castello di Racconigi fu tra i primi in Piemonte a introdurre lo stile alla francese, ad accogliere gli scenari pittoreschi del tardo Settecento e a trasformarsi all’inglese con Re Carlo Alberto. Ogni metamorfosi avvenne per mano dei più celebri paesaggisti europei e raggiunse risultati d’eccellenza, gli stessi che ne resero celebri le serre, colme di fiori esotici e rarità botaniche.

La roccaforte di Racconigi, appartenuta fin dall’anno Mille ai Marchesi di Susa, poi a quelli di Saluzzo e infine ai Savoia, fu donata nel 1620 a Tommaso Francesco, capostipite del ramo cadetto dei Savoia-Carignano. Suo figlio Emanuele Filiberto chiamò i migliori progettisti per tramutare il fortilizio medioevale in dimora di campagna: Guarino Guarini per l’edificio e nel 1670 André Le Nôtre per il parco. Si trattava di un impianto grandioso, con vasti parterres de broderie sul fronte settentrionale della facciata, che terminavano in un rondò con una fontana centrale; da qui lunghi viali rettilinei bordati di pioppi, carpini e canali d’acqua raggiungevano con mirabile prospettiva un’altra vasca sul fondo. Ai lati si disponevano in quadranti boschetti di tigli e olmi, ripartiti da percorsi a stella e con radure erbose, teatri di verzura, un tempio dedicato a Diana e una peschiera. Dal tardo Settecento il disegno alla francese, ormai antiquato e complesso da mantenere, fu progressivamente eroso fino a venire cancellato. Giuseppina di Lorena, anche per dare lavoro alla popolazione colpita da carestie, affidò nel 1787 allo scenografo Giacomo Pregliasco il ripensamento dei quadranti centrali del parco. Tra strade sinuose, ruscelli e una natura apparentemente selvaggia trovarono posto architetture visionarie, evocative di paesi esotici, opere letterarie ed epoche passate. I bozzetti del tempo rappresentano case rustiche, isole cinesi, rovine romane e medioevali, sfingi o moschee, ma non tutte queste fabbriques furono effettivamente costruite e oggi ne sopravvivono (in parte riadattate) solo alcune, come l’Isola dei Cigni, la Grotta di Merlino sormontata dai platani, la stele funebre per il cane Werter, la chiesa gotica o la Dacia Russa. Carlo Alberto, preferendo scenari meno artefatti, incaricò nel 1820 Xavier Kurten di ripensare l’intero parco in chiave paesaggistica, con un grande lago, prospettiche radure a prato e una fitta trama di viali e navigli curvilinei che s’inoltrano nel bosco, dove accanto agli alberi autoctoni furono messe a dimora specie esotiche esotiche, come zelkove, ippocastani a fiori rosa o liriodendri. Qualche decennio dopo, su progetto di Pelagio Pelagi, furono costruite al fondo della tenuta le Margarie, complesso neogotico che fungeva da epicentro dell’illuminata azienda agricola che Carlo Alberto aveva voluto ambientare nel parco. I fratelli Marcellino e Giuseppe Roda, succeduti come Direttori al Kurten, perfezionarono il disegno generale, ridefinirono il Giardino dei Principini adiacente alle Margarie, dedicato alle piante da fiore e da frutto, e insieme al progettista Carlo Sada contribuirono alla creazione dell’imponente serra.

 

Questo giardino è stato oggetto di un intervento di restauro e valorizzazione grazie ai fondi del PNRR

 

 

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