Esaltazione del passato o ricerca di forme moderne?”; così ci si interrogava in occasione della famosa Mostra fiorentina sul giardino italiano del 1931. Fino ad allora erano i giardini architettonici della tradizione i riferimenti a cui guardare nella composizione dei giardini. Ne sono esempio l’appassionata riscoperta dei giardini formali da parte di Cecil Pinsent alimentata dalla numerosa colonia britannica che aveva scelto di stabilirsi in Toscana. Nel 1935 un altro paesaggista, Pietro Porcinai, assegna alla progettazione dei giardini uno specifico ambito disciplinare diverso dall’architettura; in questa nuova identità è da ricercare la strada per il giardino moderno.

Il giardino del Novecento è dunque investito da una commistione di stimoli culturali: non si può parlare di uno stile e di un indirizzo preciso, semmai di vari stili: è, di volta in volta, lo stile di ogni progettista. Non c’è dunque un modello da seguire, sono piuttosto una serie di voci, a volte discordi, a indicare strade diverse, oscillanti fra formale e informale, fra geometrismo e naturalismo: dai giardini anglo-fiorentini di Cecil Pinsent al giardino “déco” di Jacques Gréber a Marlia, ai giardini fra tradizione e innovazione di Porcinai, al giardino onirico di Tomaso Buzzi alla Scarzuola.

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